mercoledì 25 giugno 2014

Cenni di orientamento nel casino che è la cultura (parte II)

La disciplina del guado

Benvenuti nella cultura in senso proprio. Ho la sensazione che non molti arrivino da queste parti, professori compresi. Qui lo scenario si complica: infatti qui cultura significa esigenza di coltivazione di sè mediante il forgiarsi di una strada nel caos, o anche l'inverso, che è la stessa cosa. E' essenziale che ci si renda conto che questo tipo di perdizione fa parte integrante del processo, e anzi nel corso del tempo ne diventerà la parte più interessante. Lo so, all'inizio il tutto era nato per l'esigenza di una "risposta", di una "soluzione", di un "interesse" specifico, che si presumeva avesse una fine. Ma quella era l'esca necessaria perché tu uscissi dal tuo guscio. Ora, invece, sei fra i grandi.
Traccerò anche qui tre consigli di base - in questo caso, però, non tanto in un ordine più o meno cronologico, ma semmai in un ordine di priorità logica: vale a dire, poiché i procedimenti che si metteranno in atto in questa fase sono più psicologici che materiali - non lineari e scarsamente algoritmizzabili - quelle che darò sono delle vaghe linee guida su dei principi fondamentali che potrebbero anche susseguirsi cronologicamente, ma che più in generale varrà semplicemente la pena di tenere presenti in quell'ordine di priorità. Va da sè che, in questa fase ancora più che nella precedente, ogni pretesa di completezza è volata fuori dalla finestra.

- Primo: rinunciare alla conoscenza. Questo passo è già piuttosto difficile, ma al tempo stesso è cruciale. Molte persone, giunte da queste parti, tendono naturalmente a cercare opinioni "forti" tramite cui assicurare la propria illusoria identità ad un'ipoteca di sicurezza (la cui verità ovviamente è la schiavitù). Che sia esoterismo, politica o l'ultima moda in tema di filosofia della mente - tutto pur di non prendere atto dell'infinito. Solitamente - e parlo anche per esperienza personale - questo tipo di reazione va a infilarsi in orrendi cul de sac fatti di enormi difficoltà psicologiche stirate fin quasi al punto di rottura. Guardati dagli eccessi della "coerenza". Al contrario, il processo che a noi qui interessa è un po' diverso: di nuovo, rinunciare alla conoscenza. Questo significa che si deve perdere ad un certo grado la fiducia che finora si era riposta in ciò che si stava studiando e apprendendo, e così facendo si deve accettare di perdere il potere (del tutto immaginario) che si pensava ad esso connesso. L'oggetto inafferrabile del desiderio (sì, di nuovo il vecchio primo punto), da vicino che sembrava, di colpo si fa completamente inafferrabile. E' un colpo basso, ma lo devi buttare giù. Avrai la sensazione di aver studiato e penato per niente, ma lo devi buttare giù. Quando avrai cominciato a dimenticare i dettagli o i libri o le nozioni imparate a memoria, avrai la sensazione di essere al punto di partenza (non è vero niente): butta giù. Il momento della confusione totale e del senso di essere completamente ignorante di tutto è il battesimo del fuoco di cui hai bisogno.

- Secondo: accorgersi della vita. Quasi inevitabilmente il passaggio alla sfera dell'infinito e la crisi della conoscenza come acquisizione cumulativa di controllo che esso comporta ingenereranno l'insorgere, all'interno di una sfera dell'io completamente investita nel "progetto cultura" - qualunque fosse la ragione originaria per investirvisi - ampie difficoltà psicologiche. In altre parole, questo è il momento in cui la vita inconscia, che, tramite il primo punto della prima fase, stava in effetti, non vista, alla base dell'avvio dell'intero processo, si riavvicina e quasi collide con la vita conscia, sfasciando le strutture di supporto del soggetto (che ancora non si comprende come impossibile e sempre da farsi). Questa fase è senza dubbio la più critica e dolorosa del processo. Può, in effetti, benissimo comportare il ricorso a psicoterapeuti e/o psichiatri vari. Il mio consiglio in merito è di non esagerare: si deve cioè comprendere che il loro ruolo può essere solo di coadiuvanti ad un riadattamento alla vita quotidiana; essi non possono risolvere il problema della "cultura" per te. Ma proprio l'incontro-scontro con la vita quotidiana deve diventare ora il tema centrale del processo. Quasi come se tutto quanto si fosse fatto finora fosse in effetti solo un elaborato trabocchetto per ricondurti a te stesso (non lo è, ma sembrerà così), la conseguenza primaria del reiterato rinunciare alla conoscenza, dell'alzare le mani e arrendersi, dello scoprirsi poveri, i più poveri, deve riportare violentemente il fuoco dell'attenzione proprio su ciò che nei mesi/anni/decenni precedenti era rimasto apparentemente sullo sfondo, negletto in quanto (si pensava) già superato: appunto, la vita quotidiana. La vita, viene da dire, "reale", di fronte a quelle che ora appaiono le "illusioni" della incontrollabile proliferazione dei punti di vista. Potrà sembrare, così facendo, di sigillare una definitiva rinuncia alla "cultura"; e sarà quasi così. Ma c'è un piccolo particolare di cui solo più tardi ci si ricorderà: tutti i problemi psicologici che ora stanno come diaframma fra te e la vita "normale" sono, in effetti, nient'altro che la raffinazione del tuo primo movente ad intraprendere la ricerca culturale stessa. Essi sono, a tutti gli effetti, il prodotto della tua ricerca, finalmente defunti dalla dimensione dell'astratto e nozionistico e in procinto di incarnarsi nella tua vita. A prenderli come la vera e propria tesi di laurea che ti aspetta, non ci si sbaglierebbe troppo, e questo anche se finora pensavi che si trattasse solo di studiare la storia della musica o l'etnologia dei nativi di Bali.

- Terzo: passare alla creatività. A questo punto, cioè, il compito, per quanto difficile e a volte doloroso, è segnato: si tratta di riuscire a far combaciare la dimensione patologica inaugurata dal disadattamento costitutivo frutto del passaggio alla sfera dell'infinito culturale con la propria vita concreta - fino, nel caso tu sia un genio e/o un po' folle, a non avere più quotidiano. A riguardo nutro la personale idea che ogni mezzo debba essere considerato lecito. Vale a dire che - fatto salvo un utilitaristico rispetto delle leggi e il massimo possibile di rispetto per gli altri, che dopo tutto stanno affrontando a loro volta un'odissea simile - è necessario in questa fase lasciare un po' fra parentesi le tentazioni di chiudersi a riccio intorno ad un'etica prestabilita o, Dio ce ne scampi, addirittura ad un qualche moralismo. Si tratta, in effetti, della stessa tentazione a livello pratico che trovavamo a livello teorico al primo punto. Lascia stare, non fuziona: se segui quella strada peggiorerai e non caverai un ragno dal buco. Il fatto è che in questa fase, costitutivamente, dovrai renderti conto che l'infinito sconvolgente a livello teorico-culturale riguarda per l'appunto e già fin dall'inizio la stessa dimensione pratica della vita. Di modo che l'abitudine, le leggi, le etiche dovranno, in questo processo di adattamento selvaggio al disadattamento costitutivo, rivelarsi per quello che sono: ausilii e sostegni, non regole assolute atte a censurare il pensiero. Detto in altre parole: si tratterà di scoprire che in etica si ragiona sempre "a posteriori" - un po' come per la filosofia secondo Hegel. O, il che è simile, si tratterà di scoprire che l'etica - guarda caso, proprio come la cultura - è un cantiere aperto, mai finito, sempre in costruzione. Credo che questa assunzione su di sè dell'infinito (in cui, non si dimentichi, "è dolce il naufragar") sia la capacità che più di tutte permette di inserirsi nella vita culturale dell'umanità. Di qui in avanti si stende la prateria accidentata e fascinosa della produzione del senso, quanto a dire ciò che sporge dal rapporto fra tu-persona e tu come soggetto di enunciazioni sempre da superare. Ed ora vedrai che tutto ciò che avevi studiato tempo addietro, unitamente a quanto ancora come un bambino studierai, ritornerà non più come albatross del controllo a chinarti la testa, ma semmai capacità di spiccare il volo dell'albatross che tu sei, reggendoti proprio sulle correnti del senso secreto dai voli di chi ti ha preceduto. Con un'avvertenza: guardati bene dal credere che, per l'appunto, si tratti di un processo finito ed esauribile, in cui si possa trovare una qualche perfezione. Se vogliamo il segreto finale è proprio questo: che ci saranno sempre difficoltà psicologiche, sempre qualche incoerenza fra teoria e prassi, sempre qualcosa da pensare o da fare. Ma per l'appunto ciò, se finalmente riesci a mandarlo giù, è l'ultimo boccone degli spinaci atti a rendere il tuo corpo, finalmente, relativamente, ma sacrosantamente creativo. Benvenuto a casa.

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